Approccio piscologico del gioco

'approccio psicologico del gioco

 

Ma è la psicologia che più di ogni altra disciplina ha visto nel gioco il protagonista dello sviluppo psicologico e soprattutto della personalità del bambino.

Il primo ad occuparsene fu Sigmund Freud, che rintracciò nei giochi del maschio, il tentativo di imitare il padre e ricoprirne il suo ruolo, mentre con i suoi giochi la femmina cerca di attuare quell'autorità che le viene negata. Freud segnalerà l'attivazione, durante i giochi dei bambini, del processo di identificazione.

Il gioco è in grado di aiutare i bambini a superare le loro paure, perché gli consente di trasferire l'oggetto del timore su un altro oggetto, familiare e quindi non pericoloso.[7]

 

Per molto tempo si sono contrapposte sull'argomento due teorie praticamente opposte: quella del "post-esercizio" di Edward H. Carr, per cui l'attività ludica servirebbe a ottimizzare una nuova dinamica comportamentale, e quella del "pre-esercizio" di Karl Groos, che vede il gioco come momento propedeutico alla vita adulta.

 

Queste due teorie sono state armonizzate da Jean Piaget, che riconosce al gioco una funzione centrale nello sviluppo di una sfera cognitiva personale e della personalità.

 

Un ulteriore affinamento dell'interpretazione dell'attività ludica viene dallo psicologo russo Lev Vygotskij, che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del ragazzo, non solo cognitiva come in Piaget.

 

Vygotskji critica anche le visioni del gioco come attività non finalistica e non produttiva, in quanto, seppur atto totalmente gratuito, costituisce un eccezionale elemento di crescita e di definizione della struttura di personalità in tutti i suoi aspetti.

 

 

 

 

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